di Cristina Morini
TEMPI PRESENTI. A proposito di «Le grandi dimissioni», l’ultimo volume di Francesca Coin di recente pubblicato da Einaudi. Il salario minimo è una misura che appare necessaria, compresa la critica alla cultura antisindacale. Le donne sono oggi le più penalizzate dai processi di inclusione differenziale del neoliberismo. Sono anche le più disposte a scommettere sull’altrove e a ricominciare da capo
Il libro di Francesca Coin da poco uscito per Einaudi, Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita (pp. 288, euro 17.50), è innanzitutto un testo sulla «libertà». Un concetto complesso, spesso deformato da questi tempi di democrazie illiberali e di libertà neoliberiste. Addentrarci troppo ci porterebbe lontano, ma si può notare che esso si confronta da sempre, nelle letture che ci appassionano, con i rapporti di potere, di produzione e sociali sui quali si fondano le forme dell’oppressione.
Simone Weil scrive nel 1934: «La storia dell’umanità viene a coincidere con la storia dell’asservimento che fa degli uomini, oppressi e oppressori, il puro zimbello degli strumenti di dominio che essi hanno fabbricato, e riduce così l’umanità vivente a essere cosa tra le cose inerti».
In questa interpretazione, precisamente politica ma che non manca di partecipazione lirica per la condizione dell’umanità, «la libertà vera» potrebbe darsi per l’essere umano «qualora le condizioni materiali che gli permettono di esistere fossero esclusivamente opera del suo pensiero che dirige lo sforzo dei suoi muscoli».
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