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Lavoro: «Il potere di troncare è un passo avanti. Ma mai improvvisare»

di Valeria Vignale

I numeri crescono in tutto il mondo, Italia compresa. La scelta di cambiare, però, «non è affatto semplice perché bisogna tenere in equilibrio il piano privato e quello professionale», dice la fondatrice di “The Power of Quitting”, una serie di panel. «Meglio informarsi sull’esperienza di altre persone»

Si lascia per stress o per esaurimento, il cosiddetto “burnout”. Per riprendersi il timone della propria vita e il tempo per reinventarla. O per cercare una retribuzione migliore, una posizione e un ambiente più adatti alle proprie competenze. Sono le motivazioni e i contorni di una tendenza, il “quitting”, che dopo la pandemia continua a crescere sorprendentemente nelle fasce più precarie e pressate, portando alle dimissioni volontarie anche chi non ha un piano B e non potrebbe vivere di rendita. Nel 2021, negli Stati Uniti, si è registrato un picco: 48 milioni di dipendenti dimissionari, record superato nel 2022 con 50,5 milioni. Per definirlo Anthony Klotz, psicologo del lavoro allo University College di Londra, ha coniato il termine “ great resignation” usando volutamente una parola che in inglese significa anche “rassegnazione”.

QUIET QUITTING È UN FENOMENO PARALLELO ALLE “GRANDI DIMISSIONI”: SI MANTIENE IL POSTO DI LAVORO IMPEGNANDOSI LO STRETTO INDISPENSABILE, NEGLI ORARI PREVISTI DAL CONTRATTO, SOTTRAENDOSI A PRESSIONI E RICHIESTE DI STRAORDINARI

La sociologa Francesca Coin, autrice di Le grandi dimissioni (ed. Einaudi), parla di una «fuga dal lavoro povero» che non ha risparmiato neppure l’Italia, dove l’82,3% è scontento e ritiene di meritare di più (fonte Censis) e il 29% cerca un cambiamento ma, a differenza degli Usa, vive in un paese dove il tasso di disoccupazione era al 7,9 per cento nel 2022. Eppure, anche davanti all’elevato rischio di non reimpiegassi in tempi stretti, oltre 2 milioni di italiani hanno firmato le dimissioni l’anno scorso. E il fenomeno non è circoscritto a un gruppo ristretto di paesi occidentali, è globale. Si dimette soprattutto «chi non ha una contropartita per i sacrifici che vengono imposti», precisa Coin, riportando ricerche del Pew Research Center e della società di consulenza McKinsey.

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