Per aumentare le proprie possibilità di impatto, i docenti sono incentivati all’uso di piattaforme digitali come Academia.edu, Linkedin, Googlescholar, University e-repositories, SlideShare, Content aggregator tools, attraverso le quali aumentare le proprie interazioni quotidiane e l’impatto della propria ricerca.
Il soggetto quantificato dell’accademia – quello che Lupton definisce «academic quantified self» è incoraggiato, o meglio indotto a raccogliere continuamente dati sulle proprie attività di ricerca e didattica e a servirsi dell’analisi degli stessi per migliorare la propria performance.
Al minimo, il ricercatore è rapidamente preda della sindrome del publish or perish, una sindrome contraddistinta da pensieri ossessivi e alte aspettative, l’ansia di pubblicare e notti insonni. Non solo, ma la continua dataveillance induce ad aumentare continuamente la mole di lavoro. Dalla quantificazione delle citazioni permessa da Google Scholar alla valutazione della didattica prodotta dagli studenti, sino agli esercizi nazionali di valutazione, tutte queste metriche trasformano l’accademico in un manager di se stesso la cui performance deve essere costantemente monitorata e implementata.
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Terza parte di tre (qui la prima, qui la seconda) di un articolo originariamente pubblicato nella Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, nel numero speciale “La ‘Grande Trasformazione’ dell’Università” (1/2018) a cura di Davide Borrelli e Marualuisa Stazio accessibile a questo link: http://www.rtsa.eu
Immagine di copertina: ph. Oscar Keys da Unsplash